di Anna Lancia
*Catechista dell’arcidiocesi di Pescara-Penne
Un crocifisso argentato, consegnato direttamente dalle mani del Papa. Il suggello di un mandato, ma anche un momento scolpito nella memoria, indelebile ricordo di domenica 28 settembre e della messa celebrata da Leone XIV in piazza San Pietro a conclusione del Giubileo dei catechisti, appuntamento dell’Anno Santo che ha richiamato a Roma oltre ventimila persone da 115 Paesi.

Oltre a loro, c’eravamo noi: 39 candidati catechisti, provenienti da quindici nazioni, pronti per essere istituiti catechisti dal Papa.
Vera occasione di grazia, nel rito celebrato dinanzi a cinquantamila presenti ho sentito la forza e la bellezza di un mandato che non è solo personale, ma ecclesiale: non riguarda soltanto me, ma l’intera comunità alla quale sono inviata a servire.

Tenendo tra le mani quel crocifisso, guardando quel dono ricevuto solo qualche giorno fa, non vedo solo il simbolo della fede, ma anche il richiamo concreto alla vita di Gesù, al suo amore senza misura e alla sua totale donazione. E anche un grande responsabilità: la chiamata a vivere il ministero non come un titolo, ma come una missione che richiede impegno costante, dedizione e disponibilità.
Ogni dono, d’altra parte, porta con sé un impegno, un “ridonare”: non è qualcosa da custodire gelosamente, ma da mettere a disposizione degli altri. Ricevere il ministero del catechista significa assumere il compito di trasmettere la fede, accompagnare le persone nel loro cammino di incontro con il Signore e testimoniare, con la vita prima ancora che con le parole, la bellezza del Vangelo. Per essere catechisti non basta “parlare di fede”: occorre avere occhi capaci di vedere chi soffre e chi è dimenticato — come Lazzaro davanti alla porta del ricco — e incarnare la Parola in una vicinanza concreta, che non lascia indietro nessuno.

Leone XIV ci ha ricordato che «uno è risorto dai morti: Gesù Cristo» e che questa è la verità che salva. Da queste parole scaturisce l’invito a far sì che l’annuncio pasquale non resti astratto, ma risuoni vivo nella vita di ciascuno di noi e delle persone che incontriamo. Il cuore del catechista è proprio questo: trasmettere la certezza che Cristo è risorto ed è vicino a ciascuno, che ama ognuno personalmente. È un compito grande, che mi interpella ogni giorno, perché mi chiede coerenza e testimonianza gioiosa.
Un altro passaggio che mi ha colpita profondamente è stato quando il Papa ha spiegato che «il catechista è persona di parola, una parola che pronuncia con la propria vita», è stato ancora più chiaro che non si tratta di insegnare nozioni, ma di lasciare un segno interiore, di trasmettere la fede come una lingua materna, che si apprende vivendo accanto a chi crede. Ho pensato ai miei genitori, ai catechisti che ho incontrato nel mio cammino: ciascuno di loro ha seminato dentro di me qualcosa che oggi, con la grazia di Dio, sono chiamata a condividere con altri.
«È così che i catechisti in-segnano, cioè lasciano un segno interiore: quando educhiamo alla fede, non diamo un ammaestramento, ma poniamo nel cuore la parola di vita», ha aggiunto il Santo Padre. Dunque ciò che ciascuno di noi consegna agli altri non deve essere solo frutto dell’impegno, ma soprattutto della trasformazione operata dalla Parola. D’altra parte, non possiamo dare ciò che non abbiamo: di qui l’esigenza di nutrirci ogni giorno del Vangelo, pregare e lasciarci plasmare dallo Spirito Santo. Solo così potremo davvero trasmettere non idee, ma vita.
Quella piazza autunnale gremita ha ricordato a tutti che la Chiesa è davvero cattolica quindi universale, e che ognuno, con i propri doni e i propri limiti, è chiamato a contribuire alla crescita della comunità con cuore aperto, mettendosi al servizio con umiltà e passione, nella certezza che ciò che viene ricevuto gratuitamente, va poi donato.
Le parole conclusive dell’omelia hanno risuonato in me come un impegno personale: «Ricordiamoci che nessuno dà quello che non ha». Essere catechista, allora, significa anzitutto coltivare la mia fede, perché solo così potrò condividerla autenticamente. Voglio che la mia vita, pur con fragilità e limiti, diventi testimonianza di quell’amore che ho ricevuto e che non può restare chiuso in me.
Porto con me il desiderio di restare fedele al compito che mi è stato affidato: vivere la mia vocazione di catechista con gioia, impegno e responsabilità, lasciandomi guidare sempre dallo Spirito Santo e sostenuta dalla preghiera della comunità. So che non sarà sempre facile, ma confido che, come Lazzaro non è stato dimenticato da Dio, così anch’io, nella mia piccola missione, non sarò mai sola, perché il Signore cammina accanto a me.
Insieme a tanti catechisti della Diocesi di Pescara-Penne abbiamo partecipato domenica 28 settembre al Giubileo dei Catechisti in Piazza San Pietro.
È stata una giornata indimenticabile, ricca di emozioni, preghiera e fraternità. Abbiamo vissuto un’esperienza di fede profonda, condividendo la gioia di essere al servizio del Vangelo e della comunità cristiana.

Ripartiamo da questa esperienza con il cuore colmo di gratitudine e di gioia, pronti a continuare il nostro servizio nelle comunità, certi che il Signore accompagna ogni nostro passo e fa feconda ogni semina d’amore.
